LA FORMAZIONE EPIGENETICA DELLA MENTE: FOLK TEORIE E PROSPETTIVE BIOEDUCATIVE
Flavia Santoianni
Possibili linee interpretative rilevano oggi l’esigenza di costruire un terreno di incontro, nella scienza cognitiva, tra la pedagogia e le neuroscienze, tendenza cui fa riscontro, specularmente, una risposta più attenta del mondo scientifico verso le problematiche della formazione.
L’uso di tecnologie di analisi non invasive nella ricerca sperimentale, infatti, ha contribuito a intensificare nelle neuroscienze una crescente disposizione interpretativa verso lo studio della mente (Maffei, 1998) e il progressivo avvicinamento della pedagogia alle neuroscienze, espresso dalle prospettive bioeducative, è stato reso possibile dalla individuazione di prospettive di ricerca che attraversano, in modo interdisciplinare, la pedagogia e le neuroscienze, prospettive che definiscono, nella scienza cognitiva, la ricerca nelle scienze bioeducative.
Le scienze bioeducative sono coordinate da prospettive di ricerca epigenetiche, che studiano l’evoluzione filogenetica (Cosmides, Tooby, 1994) e l’adattamento ontogenetico nello sviluppo individuale (Magnusson, 1996; Knowles, 1997); da prospettive biodinamiche, in cui le basi biologiche dell’apprendimento e del pensiero costituiscono i determinanti strutturali della conoscenza (Carey, Gelman, 1991) e l’individuo è visto come unità di mente, corpo, organismo (Damasio, 1996); da prospettive sinergiche, nelle quali la costruzione della conoscenza è inculturazione (Bruner, 1996), “radicamento” delle conoscenze e loro distribuzione (Jonassen, Land, 2000), modulazione e definizione dominio-specifica del sapere (Hirschfeld, Gelman, 1994).
Le linee prospettiche delineate, epigenetiche, biodinamiche e sinergiche, sono tagliate trasversalmente nelle scienze bioeducative da nuclei tematici ricorrenti che ineriscono le relazioni epistemiche natura – cultura – educazione e mente – cervello – apprendimento, nuclei tematici “interni” alla scienza cognitiva che influenzano e indirizzano il senso della ricerca pedagogica contemporanea e lo studio della formazione epigenetica della mente.
Non si può negare che la scienza cognitiva abbia influenzato e indirizzato la ricerca pedagogica per quasi cinquant’anni nello studio del funzionamento dei processi apprenditivi e delle architetture dei sistemi cognitivi, così come non si può negare che dietro ogni folk pedagogia, ogni interpretazione implicita della formazione, ci sia una folk psicologia, un modo di pensare, di vedere, di credere, di intendere la mente.
Pedagogy is never innocent, infatti, scrivono Olson e Bruner (1996); la pedagogia non è mai innocente e sottende sempre una definita interpretazione del soggetto che apprende, sia essa frutto di un sapere ingenuo, sia essa frutto di un paradigma interpretativo, scientifico quanto storicamente fondato: la scelta di una modalità formativa piuttosto che un’altra comporta, dunque, inevitabilmente, una peculiare e contingente concezione dell’individuo, dell’apprendimento, della mente.
Le pratiche formative sono sorrette da insiemi di “credenze” (beliefs, in senso pragmatista) e di “folk teorie” circa il funzionamento della mente del soggetto che apprende. Per “credenze” e “folk teorie” si intendono usualmente i saperi ingenui e del senso comune (è questo il puro significato folk del termine). Possono intendersi anche, però, conoscenze sorrette da presupposti teorici scientifici e sperimentali, storicamente e culturalmente determinati e contingenti.
Ogni forma di pedagogia sottende una diversa interpretazione del soggetto che apprende, sia essa frutto di un sapere ingenuo, sia essa frutto di un paradigma (Khun, 1969) interpretativo, scientifico quanto storicamente fondato: la pedagogia non è mai “innocente” e, infatti, i differenti approcci all’apprendimento e le diverse forme di apprendimento/insegnamento – dall’imitazione, all’istruzione, alla collaborazione – hanno riflettuto, nel tempo, distinte interpretazioni dell’individuo – imitatore e produttore di esperienze, conoscitore e intenditore, pensatore collaborativo.
Il soggetto che apprende è stato, dunque, di volta in volta considerato un imitatore, cui era necessario mostrare le sequenze operative da svolgere, un conoscitore, da istruire e da informare, un pensatore, un individuo che esercita la propria abilità nel pensare e che va reso esperto in questa abilità attraverso l’esercizio metacognitivo e metaemotivo della riflessione autonoma e consapevole. Si tratta di un pensatore collaborativo, che vede nella dimensione dell’intersoggettività l’ambito primario per la costruzione della conoscenza; si tratta di una considerazione della mente funzionalmente distribuita in un tessuto di relazioni operative e strumentali che concorrono a definirla.
La scienza cognitiva influenza e indirizza ancora oggi la ricerca pedagogica, attraverso linee interpretative e tagli prospettici nei quali la mente è considerata anche oltre il supporto neurofisiologico che le è proprio – senza mai prescinderne, tuttavia – e dove le elaborazioni culturali dei concetti sono contraddistinte da relazioni significative con i determinanti strutturali della conoscenza, biologicamente definibili, di cui sono espressione. Un esempio potrebbe essere oggi quello del “razionalismo concettuale” di Carey e Gelman, dove l’ipotesi che un insieme di vincoli biologici moduli lo sviluppo cognitivo non entra in contraddizione con la natura adattiva ed esperienziale della formazione epigenetica della mente, così come la considerazione della conoscenza distribuita e situata non entra in contraddizione con la marcata attenzione della prospettiva neuroscientifica alla peculiarità individuale di ogni soggetto.
L’individuo, nella prospettiva neuroscientifica, è valorizzato come realtà biologica unica e irripetibile, eppure interrelata e interrelabile con altre realtà biologiche; allo stesso modo, direzioni di ricerca come il culturalismo, la cognizione distribuita e situata o la specificità di dominio non negano la significatività individuale anche se considerano la dimensione soggettiva modulata dalla sinergia di più dinamiche interagenti, di matrice sociale, culturale e/o relazionale, legate da un ineludibile intreccio alla realtà genetica ed epigenetica. La relazione natura-cultura non è più considerabile una relazione antinomica, ma una relazione sinergica: l’individuo “plasma” la cultura passando attraverso processi di interiorizzazione delle conoscenze che lo possono vedere più o meno partecipe in maniera diretta.
Nell’apprendimento culturale (Kruger, Tomasello, 1996), ferma restando l’influenza che il preesistente assetto delle conoscenze può avere sulle dinamiche dello sviluppo cognitivo, l’individuo si forma nell’interiorizzazione del senso degli atti educativi emergente non soltanto dall’esplicita azione di trasmissione intenzionale (apprendimento diretto), ma anche dal passaggio del soggetto “attraverso” la prospettiva adulta di condivisione intersoggettiva dei contenuti di conoscenza. L’interazioneintersoggettiva e la condivisione della dimensione cognitiva, sociale e situata, esprimono l’assorbimento di informazioni (apprendimento indiretto) dal contesto di appartenenza, dalle istituzioni culturali, dalle attività sociali, dall’ambiente fisico; le esperienze di apprendimento culturale, sia dirette che informali, implicite e indirette (Knowles, 1997; Stadler, Frensch, 1998; Santoianni, Striano, 2000), hanno il valore inferenziale di introdurre il soggetto che apprende nel sistema attitudinale e valoriale del gruppo sociale cui appartiene.
Il concetto di apprendimento collaborativo, così come quello di apprendimento culturale (diretto e indiretto), entra in sinergia, e non in contrapposizione, con il concetto di individuo come elaboratore di pattern culturali ed entrambi contribuiscono, in un gioco di continui rimandi, alla differenziazione di specifici individui in specifiche culture e alla creazione e al rinnovamento di contenuti di conoscenza peculiarmente individuati e individualmente progettati.
Gli ambienti di apprendimento, infatti, sia che siano “costruiti” per la produzione delle conoscenze, sia che implichino una relazione formativa intenzionale diretta, si basano su fondamenti psicologici, tecnologici, culturali e pragmatici (Land, Hannafin, 2000) correlati alle modalità di apprendimento individuali; sono “disegnati” – quando vi è questo intento – sempre in funzione del soggetto e delle sue processualità elaborative.
La fondazione culturale delle comunità di apprendimento non comporta, di per sé, una “riduzione” del singolo, ma una sua valorizzazione proprio in quanto fulcro di tali comunità (Bruner, 1996) e, se è vero che l’apprendimento è frutto di una continua costruzione di conoscenze, condivisa, contestualizzata e situata, è anche vero che il disegno costruttivista attesta la centralità del soggetto che apprende nella definizione dei significati (Land, Hannafin, 2000) e l’importanza delle conoscenze pregresse nella strutturazione di essi.
La centralità del soggetto che apprende e il suo ruolo nel decodificare, interpretare e gestire le conoscenze risulta anche dalla natura composita del sistema cognitivo, nel quale l’attività elaborativa delle informazioni è generalmente considerata la risultante di una sinergia di elementi, tra i quali l’architettura del sistema, i processi di controllo e la pluralità dei piani funzionali di esso.
Il sistema cognitivo è, infatti, un sistema elaborativo a funzionalità interrelata la cui complessità è evidente nella struttura multicomponenziale delle unità sinergiche che lo compongono e nella pluralità dei piani differenziati e interdipendenti con cui interagisce e da cui prendono forma i possibili modelli funzionali dell’elaborazione cognitiva.
Il sistema cognitivo individuale è inserito in un processo ontogenetico di graduale modellizzazione delle connessioni neurali che concorrono alla organizzazione (e alla continua riorganizzazione) delle reti sinaptiche cerebrali: la costituzione genetica e i cambiamenti microstrutturali epigenetici costituiscono le basi biologiche sulle quali si innesta, modulandone l’espressione, la specifica esperienza che ogni individuo struttura nella formazione adattiva della mente.
Il concetto di formazione nelle scienze bioeducative può, dunque, assumere una valenza dinamica che si esprime nell’analisi dei possibili vincoli e criteri di educabilità che regolano la multifattorialità del sistema cognitivo proprio in funzione delle differenze individuali nello sviluppo epigenetico.
Nell’individuare i vincoli e i criteri biodinamici regolativi della modificabilità epigenetica, la ricerca bioeducativa segue oggi la direzione del riconoscimento della specificità dei domini e dei contesti culturali, delle differenze individuali nelle processualità elaborative e delle specializzazioni funzionali delle proprietà cognitive; gli orientamenti processuali di un sistema cognitivo tendono, infatti, alla differenziazione e alla specializzazione proprio in relazione all’attività esperienziale e l’approccio biodinamico alla formazione considera basilare la tendenza alla specializzazione differenziata del sistema cognitivo individuale.
E allora, se ricostruire i rapporti tra una folk psicologia e una folk pedagogia può essere utile per organizzare e riorganizzare le modalità di apprendimento/insegnamento, quali significati e quali effetti può avere, nelle pratiche formative, una pedagogia che studi le scienze bioeducative “all’interno” della scienza cognitiva?
Nelle scienze bioeducative il focus della ricerca pedagogica sulla modificabilità epigenetica si sposta, nell’analisi dei criteri di educabilità, dalla definizione dei processi al loro svolgersi soggettivo: nelle problematiche pedagogiche non è più in primo piano l’educazione, ma l’educabilità, il “processo” della formazione nell’epigenesi.
Ciò che è cambiato, nelle attuali pedagogie centrate sull’apprendimento del soggetto, rispetto a quelle precedenti, centrate sul bambino, è il punto di osservazione prospettica, soggettivo sull’apprendimento e sociale sulla formazione delle teorie e del pensiero. Il nodo del discorso non è più ciò che un adulto può fare per promuovere l’apprendimento, ma cosa un individuo in crescita percepisce come il proprio “imparare” e quali possono essere i possibili approcci formativi in grado di interagire con queste metariflessioni soggettive. A questo si aggiunge una considerazione del processo formativo come condivisibile da comunità di individui attraverso discorsi collaborativi, processo dal quale emerge una interpretazione della conoscenza come prodotto dell’elaborazione di modelli intersoggettivi della comprensione.
Ai fini dell’educabilità, tuttavia, non è tanto importante se l’apprendimento sia collaborativo o individuale (tali fattori possono coesistere); se la fruizione della conoscenza sia implicita/automatica o intenzionale/diretta (anche tali fattori possono coesistere); ciò che è cambiato è il modo di intendere la relazione formativa, non più centrata sul bambino come fulcro del firmamento educativo (Gardner, Torff, Hatch, 1996), non più univoca, nella trasmissione e nella gestione delle conoscenze, come nella esplorazione esperienziale di esse (Dewey, 1916, 1957) ma, invece, specializzata e differenziata, nelle categorie della molteplicità (funzionale, prospettica, interpretativa), della reciprocità (la formazione è bidirezionale, interrelata, interdipendente) e della modificabilità (la costruzione della conoscenza avviene attraverso processi, di negoziazione, di ridefinizione, di trasformazione).
La formazione epigenetica, in prospettiva bioeducativa, è un processo che si attua sia in relazione alla modulazione ambientale, sia in relazione alla “disponibilità” individuale: il sistema cognitivo, infatti, è un complesso sistema elaborativo a funzionalità interrelata, dinamico, in continuo sviluppo e in interazione con l’ambiente. Il sistema cognitivo, nelle scienze bioeducative, può essere considerato eterogeneo, a matrice genetica ed epigenetica; eterocronico, in sviluppo continuo e discontinuo; adattivo, a funzionalità esplicita e implicita; interattivo, in senso singolare e plurale; evolutivo, a livello filogenetico e ontogenetico.
L’educabilità, il processo della formazione nell’epigenesi, è anch’essa un processo eterogeneo, eterocronico, adattivo, interattivo, ed evolutivo; processo nel quale ogni protocollo formativo dovrebbe essere individualizzato, specifico e differenziato e, pur considerando il passato di ognuno, ne dovrebbe condizionare il presente e il futuro, nella consapevolezza che ogni individuo non è mai né all’inizio né alla fine di un processo formativo, ma è sempre, ai fini dell’educabilità, in corso di formazione.
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