Questa dimensione motoria è stata finora sottovalutata a scapito di una dimensione cognitiva “disincarnata”: il che non significa che i progressi delle neuroscienze ci debbano sospingere verso una concezione…che non rimandi…all’esistenza di schemi e concezioni generali che conferiscono unitarietà al fenomeno dell’esperienza e la inseriscono nell’ambito di un più vasto schema o visione del mondo. Alberto Oliverio
Negli ultimi vent’anni, la ricerca nel campo delle scienze dell’educazione si è andata gradualmente orientando verso un recupero della dimensione biologica nella relazione insegnamento-apprendimento; la dimensione biologica[1] – e, più in generale, la considerazione interpretativa pedagogia-neuroscienze[2] – è stata intesa come costitutiva della singolarità individuale e, pertanto, è risultata essere un punto di passaggio ineludibile nei processi di progettazione, gestione e sviluppo delle dinamiche formative.
L’idea di un possibile legame tra la pedagogia e le neuroscienze è nata portando già con sé alcune riserve antiriduzionistiche come, ad esempio, l’allontanamento da posizioni di pensiero funzionaliste, per le quali le funzioni della mente possono prescindere dal proprio substrato biologico e sono implementabili in qualunque dispositivo informatico.
Riserve antiriduzionistiche possono essere considerate, ancora, il riconoscimento del carattere di correlazione che media il complesso legame mente-cervello, al di là delle semplicistiche interpretazioni di coincidenza tra le attivazioni cerebrali e gli eventi mentali e al di là, infine, di ogni visione della mente che non sia pluriprospettica e multidimensionale – nel senso che la mente è condivisa, distribuita e situata, eppure, non per questo, il suo potenziale espressivo è mai considerabile “slegato” dal cervello: dire che non vi è mente senza cervello non significa affatto dire che siano la stessa cosa.
A parte queste posizioni di evidente riduzionismo, grava sulla relazione pedagogia-neuroscienze l’implicita considerazione che questi due campi del sapere appartengano a domini del pensiero troppo distanti per poter essere avvicinati con qualche profitto; in realtà, ciò che probabilmente manca al completamento di questa relazione, non è soltanto la definizione dell’intreccio teorico ed epistemologico che la sottende – linea interpretativa di ricerca che è stata già, in un certo senso, attivata[3] – ma è proprio l’individuazione delle possibili direttive di sviluppo che, concretamente, la relazione pedagogia-neuroscienze potrà intraprendere nei prossimi anni a venire.
Cosa significa avvicinare la pedagogia alle neuroscienze, ai fini della progettazione, della complessità, della efficacia formativa? In che senso, e in che misura, il mondo neuroscientifico può essere coinvolto da questa evoluzione (o co-evoluzione?) che, gradualmente, sta prendendo piede nel mondo della formazione, e in quali modi le conoscenze neuroscientifiche possono “collaborare” alla riuscita della relazione insegnamento-apprendimento? Quali ricadute concrete, quali suggestioni interpretative, quali ipotesi di lavoro, quali risvolti formativi, quali percorsi e quali scelte emergono da questo trend di ricerca?
La definizione delle scienze bioeducative non può, dunque, ritenersi conclusa senza una chiara indicazione delle prospettive di sviluppo attraverso le quali può, nella prassi formativa, realizzarsi la ricerca bioeducativa (ad esempio, lo studio dell’interazione tra il sistema cognitivo e il sistema affettivo-emozionale nell’apprendimento, lo studio della natura plurima e diversificata di tali sistemi, lo studio dei processi di adattamento e dell’interazione esperienziale nei processi di componibilità e formazione dei gruppi, …).
Uno di questi temi è particolarmente fondante la relazione pedagogia-neuroscienze ed è stato approfondito in questo volume come punto nodale del discorso.
Si tratta del problema del corpo, e della corporeità, come elemento non antitetico ma integrativo della relazione mente-cervello; relazione che, da dicotomica, si fa pluriprospettica e include in sé i caratteri di correlazione che legano la mente al cervello, legano la mente al corpo, legano il cervello, il corpo, e la mente, come un unico organismo[4], …
La ricerca attuale in questo campo verte verso itinerari di riflessione critica che tendono a una riconsiderazione dell’individuo nella sua relazione con l’ambiente e nella sua relazione con sé stesso all’interno dell’ambiente[5]:
(1) The human brain and the rest of the body constitute an indissociable organism, …
(2) The organism interacts with the environment as an ensamble: the interaction is neither of the body alone nor of the brain alone.
…
Mental phenomena, seen in this light, can be fully understood only in the context of an organism’s continuous interaction within an environment.
Qual’è, dunque, il senso attribuibile alla relazione – o, meglio, alla integrazione evolutiva e pluriprospettica tra mente e corpo – nelle attuali prospettive organismiche, all’interno delle scienze bioeducative? E, soprattutto, qual è la storia (problematica, nodale, metariflessiva, …) della relazione tra la mente e il corpo nel corso dell’ultimo secolo, nei suoi risvolti formativi? Come sono cambiate, e come possono variare, le dinamiche dell’apprendimento in relazione alla considerazione della singolarità individuale non soltanto dal punto di vista cognitivo, o dal punto di vista affettivo-emozionale, ma dalla complessità che entrambi questi punti di vista vengono ad assumere attraverso il corporeo?
Il volume in oggetto affronta e approfondisce queste tematiche, attraverso una analisi dei modelli interpretativi che hanno attraversato le posizioni di pensiero comportamentista, cognitivista e post-cognitivista, nel corso del novecento, ma che affondano anche, talvolta, le proprie radici nei “dogmi” della cultura occidentale (la distinzione tra res cogitans e res extensa, ad esempio).
Il volume si svincola, dunque, agilmente, tra quelli che possono essere ritenuti nodi problematici “tradizionali” della ricerca in questo campo (dal problema del metodo, alla considerazione del linguaggio e del comportamento; dalla relazione uomo – macchina, alle più avanzate tendenze della ricerca biodinamica organismica), dalla cui considerazione non è possibile prescindere, per profilare indirizzi e metodologie formative, perché solo attraverso un ripensamento critico di quelle che sono state le posizioni teoriche circa la relazione mente e corpo nella formazione sino ad oggi si possono profilare le direttive di sviluppo di nascenti prospettive di ricerca all’interno delle scienze bioeducative.
[1] Per una introduzione al discorso del rapporto tra pedagogia e biologia, vedi E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, Liguori, Napoli, 1994, 2000.
[2] Alla fine degli anni ’90, l’analisi della relazione tra pedagogia e biologia è stata integrata dalla considerazione della necessarietà di un ampliamento di questa relazione verso il più generale mondo delle neuroscienze. A questo proposito, confronta F. Santoianni, Sistemi biodinamici scelte formative, Liguori, Napoli, 1998 per un primo approccio e E. Frauenfelder, F. Santoianni, a cura di, Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli, 2002 per l’impianto del progetto di ricerca.
[3] Cfr. E. Frauenfelder, F. Santoianni, a cura di, Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli, 2002.
[4] A.R. Damasio, H.D. Damasio, Advances in cognitive neurosciences, in D. Magnusson a cura di, The Lifespan Development of Individuals, Cambridge University Press, 1996.
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