CORSI DI FORMAZIONE DOCENTI: Intervista per Tesi di Laurea Università di Catania sulla ricerca nelle Scienze Bioeducative

Aggiornamento e formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche

Corsi di formazione docenti e Corsi di aggiornamento docenti

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Intervista a Flavia Santoianni
 
1)     Com’è nato il suo interesse nei confronti del mondo bio-neuro-scientifico? La ricerca condotta da Elisa Frauenfelder sul binomio Pedagogia-Biologia ha in qualche misura offerto spunti rilevanti per l’incipit della sua ricerca in chiave bioneuroscientifica?
 
2) La linea contenutistico-metodologica adottata dalla sua ricerca in quali aspetti converge con quella seguita da Elisa Frauenfelder e in quali aspetti diverge?
 
Ho conosciuto Elisa Frauenfelder negli anni ottanta, quando da poco era uscito Bios e logos. La prospettiva educativa tra biologia e cultura. Allora seguivo i suoi corsi e l’idea che l’apprendimento fosse un processo biologico, oltre che culturale, esercitò su di me una fortissima influenza. Da quel momento non ho più lasciato un campo di ricerca che mi affascina e che, forse, non avrebbe avuto modo di esistere e non avrei avuto modo di incontrare senza Elisa Frauenfelder. Ho avuto la fortuna di lavorare con lei per circa quindici anni; in questo tempo, la mia ricerca ha subito due processi, diversi ma compresenti, rispetto alla sua matrice iniziale: processi di fusione e di differenziazione.
Processi di fusione, perché la lunga e intensa collaborazione di ricerca che ho avuto con Elisa Frauenfelder ci ha portato a condividere alcuni momenti di un progetto che è, in parte, divenuto comune, come la nascita delle scienze bioeducative, la definizione delle prospettive che le individuano come campo di ricerca e la loro crescente internazionalizzazione. Nello stesso tempo, la mia ricerca si è venuta differenziando da quella della Frauenfelder, sia per i modelli di riferimento – nel mio caso, la letteratura anglosassone di area psicopedagogica (Gardner, Sternberg, Olson, ma anche Fischer, Gottlieb, Lerner per lo sviluppo, Hirschfeld, Carey, Gelman, per le strutture della conoscenza, …) e di area neuroscientifica (Calvin, Gazzaniga, Le Doux, Crick, Churchland, …) ha fortemente influenzato il mio interesse per la relazione pedagogia-neuroscienze – sia per il taglio interpretativo, non tanto filogenetico/antropologico/culturalista, come quello della Frauenfelder, quanto epigenetico/ontogenetico/biodinamico, legato ai trend di ricerca della situated cognition, della domain specificity e del razionalismo concettuale post-piagetiano, per quanto mi riguarda.
3)     Non ritiene che la pedagogia, dall’interazione con il mondo bioneuroscientifico, possa perdere in termini di specificità teoretica e di potenzialità critiche ed epistemologiche?
4)     Le scienze dell’educazione e le neuroscienze sono stati fino ad oggi ambiti di ricerca distanti, per natura, finalità perseguite, metodologie adottate: su quali basi e presupposti, dunque, è ipotizzabile l’utilizzo di specifiche strategie di ricerca comuni?
 
Alla base di questo discorso c’è un possibile fraintendimento. L’interazione con il mondo bioneuroscientifico non è, solo, una esigenza pedagogica; l’interesse verso la comprensione globale del sistema-uomo e verso le problematiche formative che ne regolano le dinamiche ha comportato, di fatto, un avvicinamento delle due aree di ricerca che, molto probabilmente, ha un innesco irreversibile. Se questo è un punto di non ritorno, chiedersi come sarà possibile mediare questa interazione è un problema ineludibile e il fraintendimento può consistere nel non vedere che il mondo della formazione e quello delle bioneuroscienze hanno, oggi, e avranno, domani, diversi punti in cui la ricerca si fa reciprocamente tangente; nel considerare, dunque, questa interazione “una creazione pedagogica”.
Qual’è, allora, il senso pedagogico di tale avvicinamento alle neuroscienze? Vi sono, attualmente, nella ricerca, tematiche composite, come la relazione adattiva mente-cervello-apprendimento o la relazione complessa natura-cultura-educazione, tematiche che concorrono alla più generale spiegazione del sistema uomo. Non è possibile affrontare tali tematiche senza una pluralità di interventi disciplinari, ma il senso pedagogico che li accomuna tutti deve essere rinvenuto nella centralità del problema formativo presente, al loro interno, spesso in forma implicita. Come renderlo esplicito? Come cogliere il profilo formativo presente in altri ambiti di ricerca? Come mediare tra le diverse istanze, umanistiche e scientifiche, senza che si perda la matrice di ricerca che caratterizza ognuna di queste aree?
La riflessione pedagogica sulle scienze dell’educazione è, essa stessa, un modello esemplare di regolatività; di gestione critica, radicale e razionale di una pluralità di saperi attraverso prospettive ermeneutiche e disposizioni interpretative aperte e flessibili. Affidare alla pedagogia un compito di mediatrice tra mondo scientifico e mondo umanistico è un modo per riconoscerne proprio la specificità ermeneutica, regolativa e fondativa al tempo stesso. Il valore epistemologico di questa posizione teorica risiede, infatti, nelle potenzialità pedagogiche dell’esercizio di una funzione “trasversale” che nulla cede al riduzionismo e nulla toglie alla vocazione radicale, alla tensione trascendentale e alla natura riflessiva e metateorica della pedagogia.
La pedagogia corre dei rischi, nell’esercizio delle sue funzioni? Forse, ma è protetta, dalla sua propria natura dismorfica e ipercomplessa. E da un punto di vista metodologico? Non si dimentichi, qui, la lezione di Visalberghi, che insegna come la pedagogia possa fare propria la nozione di pluridisciplinarietà; nozione che le consente di “condividere” con altre aree di indagine obiettivi e finalità di ricerca (che, nel caso del mondo scientifico e umanistico possono essere comuni, un esempio su tutti l’interpretazione dell’individuo come fenomeno complesso) ma, non necessariamente, metodi di indagine (spesso, in questi campi, diversissimi) o, ancor meno, basi di partenza teorica (nel senso dello specifico punto di vista disciplinare da cui muove ogni sapere nel delineare ipotesi di ricerca).
La costruzione della conoscenza è un processo complesso, eterogeneo, ma non per questo disorganico, se guidato da funzioni regolative; è un processo che può nutrirsi di più apporti disciplinari, ma non per questo viene meno alla sistematicità e alla fondatività di ogni sapere – o insieme di saperi – che voglia definirsi scientifico: il concetto di interazione non implica, necessariamente, una condivisione di identità ma, piuttosto, un potenziamento sinergico di specificità individuali per il raggiungimento di un fine comune. 
 
5)     Quali ritiene siano i punti nodali dei recenti sviluppi delle neuroscienze intorno ai quali ruotano gli attuali orientamenti dell’indagine bioeducativa? Quali spunti le scienze dell’educazione possono trarre dalle bioneuroscienze?
6)     Nell’ambito delle dinamiche educative, con particolare riferimento ai processi dell’apprendimento, quali sono le suggestioni più indicative che si traggono dai recenti sviluppi delle neuroscienze?
 
Temi attuali nelle scienze bioeducative, temi di interesse nelle scienze dell’educazione, possono essere considerati la inscindibile presenza del sistema cognitivo ed emozionale nell’apprendimento, l’influenza della dimensione organismica nella relazione mente-cervello-apprendimento, la natura delle qualità di specializzazione e differenziazione del sistema cognitivo, le relazioni sinergiche natura-cultura nella formazione individuale, i determinanti strutturali nella costruzione della conoscenza, la formazione epigenetica della mente, …
I recenti sviluppi delle neuroscienze indirizzano la ricerca sui processi apprenditivi verso una considerazione del sistema cognitivo come sistema complesso, dinamico, in continuo sviluppo e in interazione con l’ambiente; sistema elaborativo a funzionalità interrelata che, nell’ontogenesi, tende a complessificarsi nella specificità e nella differenziazione. Il sistema cognitivo è, inoltre, un sistema eterogeneo, a matrice genetica ed epigenetica; eterocronico, in sviluppo continuo e discontinuo; adattivo, a funzionalità esplicita e implicita; interattivo, in senso singolare e plurale; evolutivo, a livello filogenetico e ontogenetico; un sistema che va studiato nel suo complesso e nel suo svolgersi, individuandone le prospettive di educabilità, il “processo” della formazione nell’epigenesi.
 
7)     Ritiene che un giorno i neuroscienziati possano avvalersi degli spunti offerti dalle scienze dell’educazione per pervenire ad una comprensione più profonda del funzionamento della mente?
 
Non proprio in questi termini. E’ la sinergia tra le neuroscienze e le scienze dell’educazione, l’interazione reciproca e dinamica, la condivisione delle conoscenze e la mutua collaborazione nello studio di problematiche comuni, nel rispetto delle specifiche identità, che può attivare disposizioni interpretative potenzialmente euristiche per una comprensione più profonda del funzionamento della mente. D’altra parte, sono sempre di più i neuroscienziati “umanisti” – si pensi a Boncinelli, ad esempio – che coniugano le conoscenze bioneuroscientifiche e l’attività di sperimentazione con un bagaglio culturale letterario, storico, filosofico, psicologico, pedagogico…
  
8)     Perché ha scelto proprio il mondo delle bioneuroscienze come terreno d’avanguardia (o di frontiera) cui far riferimento per l’approfondimento di problematiche inerenti la formazione umana?
 
Perché l’interpretazione delle problematiche formative alla luce delle conoscenze bioneuroscientifiche può avere una rilevante significatività adattiva per lo sviluppo di conoscenze e competenze per la comprensione del sistema uomo e perché studiare il cervello per “scoprirvi” la mente è, in se stessa, una delle più affascinanti ricerche nella avventura del pensiero.
 
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