CORSI DI FORMAZIONE DOCENTI: Tema di concorso per ricercatore universitario in Studium Educationis 4, Editrice CEDAM, Padova, 2000

Aggiornamento e formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche

Corsi di formazione docenti e Corsi di aggiornamento docenti

Se vuoi imparare a imparare, nel sito pedagogia didattica puoi apprendere il tuo metodo di studio, diverso per ogni studente, e insegnare il proprio metodo di studio agli studenti attraverso la formazione docenti e le strategie didattiche inclusive. La formazione docenti scuola è attiva attraverso corsi di formazione docenti scuola e corsi di aggiornamento docenti. La formazione docenti scuola è attiva nel sito pedagogia didattica attraverso molti corsi di formazione docenti e corsi di aggiornamento docenti.

La formazione docenti scuola è attiva nel sito pedagogia didattica attraverso corsi di formazione docenti e corsi di aggiornamento docenti.

Procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ricercatore universitario (M09A Pedagogia Generale) per le esigenze della Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui al bando del 30-3-1999 nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a Serie speciale – n° 25. Codice Identificativo Bando: R/07/1999.
Prova scritta del 19.1.2000
Flavia Santoianni
L’identità epistemologica della pedagogia è andata a definirsi in un serrato e costante dialogo con le altre scienze dell’educazione. Negli ultimi anni si è tuttavia precisata l’urgenza di un confronto con altri ambiti del sapere allo scopo di approfondire questioni relative al funzionamento dei processi apprenditivi e cognitivi nell’ambito dei contesti di formazione. Il candidato tracci una mappa delle questioni in oggetto e sviluppi un personale itinerario di riflessione in merito alle implicazioni pedagogiche che ne derivano.
La pedagogia è stata recentemente definita da Cambi “sapere dismorfico e ipercomplesso”, segnato, nel corso della seconda metà del Novecento, dal graduale passaggio da un sapere univoco e <<chiuso>> a un sapere aperto e pluralistico. Tale passaggio – contrassegnato idealmente, secondo Spadafora, dalla pubblicazione de La pedagogia come scienza di De Bartolomeis nel 1953 – ha continuato a subire modificazioni che hanno visto le scienze dell’educazione divenire sempre più costitutive, e sempre meno ausiliarie, del sapere pedagogico e che oggi interessano la ridefinizione del ruolo epistemologico della filosofia dell’educazione, riconosciuta nel suo ineludibile senso regolativo di meta livello, radicale ed ermeneutico – critico, all’interno del dialogo pedagogia – scienze dell’educazione.
Negli ultimi dieci anni, la tradizione degli studi sull’educazione – che, come scrive Orefice, si è interessata soprattutto alla definizione delle finalità dell’educazione, piuttosto che allo svolgersi processuale degli eventi formativi – ha messo in atto un ripensamento della formazione (e della relazione formazione – educazione) come la categoria più alta, più ricca e più complessa della pedagogia; categoria – chiave alla luce della quale sono state riviste e reimpostate le dinamiche relazionali tra i diversi saperi.
La formazione si esprime attraverso una pluralità di significati ed una compresenza di livelli interpretativi: è considerabile da più punti di vista, come processo bio-antropologico, come fattore di socializzazione e di condivisione simbolica e culturale, come congerie di elementi che contribuiscono alla crescita individuale. I molteplici livelli di analisi della categoria formazione ne investono la dimensione diacronica (nel passaggio dalla paideia, libera formazione umana attraverso la cultura, con tensioni di validità universale, alla bildung, formazione unitaria, e non parcellizzata, legata alla composizione di più saperi, dalla scienza all’arte, attraverso i quali il soggetto forma la propria immagine, bild) e ne investono la dimensione pluralistico – dialettica (come pluralismo di interpretazioni, emergenze e scienze, secondo Frabboni; come dialetticità intrinseca alle tensioni antinomiche della complessità pedagogica, secondo Cambi, dove il dinamismo espressivo è dato proprio dalla sua natura multicomponenziale).
La complessità epistemologica della pedagogia permette dunque, tra i saperi dell’educazione, una interazione che Visalberghi ha definito pluridisciplinare, nel senso di una possibile condivisione di interessi di ricerca e finalità di indagine che non concerne necessariamente né metodologie comuni, né punti di partenza o ipotesi di base con valenza omologante. D’altra parte, la rinuncia della pedagogia a uno statuto epistemologico forte, in virtù di una linea interpretativa ermeneutico – critica, o, meglio, la ricostruzione di nuovi modelli epistemologici di uguale validità, come appare degli studi di Granese, ha permesso negli ultimi anni una ulteriore apertura del sapere pedagogico verso ambiti di ricerca che sono andati via via connotandosi come zone di frontiera, limiti estremi di una sinergia di interessi di indagine che deve molto ai progressi nel campo delle bioneuroscienze e della scienza cognitiva.
Lo studio del funzionamento dei processi apprenditivi e cognitivi può essere condotto attraverso un’analisi che ha i suoi nuclei tematici, all’interno della più ampia relazione natura – cultura, nelle dinamiche innato – acquisito, nel rapporto individuo – sviluppo e nella correlazione mente – cervello; problematiche, queste, che vanno reinterpretate anche alla luce di una pedagogia che vede nella formazione un passaggio parzialmente autoregolato e autoctono di forme individuali, un processo trasformativo e adattivo attraverso apprendimenti naturali e non preordinati, come scrive Laporta, ma che, nel contempo, si chiede oggi quali significati educativi (nel doppio senso dell’educere, nel guidare, e nel trarre – fuori, nel condurre verso) siano ancora presenti e in quali prospettive si esplichino. 
Nella definizione dei processi di apprendimento e della architettura dei sistemi cognitivi, la ricerca all’interno della scienza cognitiva, intesa – secondo Sperber e Hirschfeld – come lo studio del modo in cui un qualsivoglia mezzo (device) – sia esso una mente, un cervello, o un computer – elabora informazioni, ha influenzato e indirizzato la ricerca pedagogica in due, tra gli altri, grandi filoni di indagine di matrice cognitiva, il filone culturalista e quello computazionale, nei quali, rispettivamente, si mette a fuoco la relazione tra l’individuo e la prospettiva di condivisione simbolica nella quale e con la quale si trova ad interagire, e la relazione di analogia tra il funzionamento della mente individuale e quello di un elaboratore elettronico. Quest’ultima prospettiva ha fortemente influenzato lo studio dei processi di apprendimento e di essa, oggi, proprio dal versante culturalista (si veda, ad esempio, La cultura dell’educazione di Bruner) sono stati identificati molti punti deboli, come la rigida determinazione delle regole e dei significati (nozione di well-formedness) che non lascia spazio agli elementi di variabilità spazio – temporale e di indeterminazione necessariamente presenti nel funzionamento di ogni sistema cognitivo (si veda, a tal proposito, tutta la critica connessionista al computazionalismo dell’Intelligenza Artificiale e della Computer Science, negli scritti di Parisi e di Rumelhart e McClelland).
Con la perdita di significato del paradigma computazionale e con l’intensificarsi della ricerca sperimentale in vivo nelle bioneuroscienze, effettuata con l’ausilio di tecnologie non invasive, si è fatta prepotentemente avanti la possibilità, o, meglio, l’ipotesi di possibilità, di studiare come il cervello “si rappresenta” la mente:  da un’ipotesi di Miller e Gazzaniga sono nate, all’interno della scienza cognitiva, le neuroscienze cognitive, e possibili linee interpretative stanno mettendo in evidenza la definizione delle scienze bioeducative come possibile ambito di ricerca che ricomprenda in sé la pedagogia, le bioneuroscienze e quella parte della scienza cognitiva che si è allontanata dalla matrice computazionale, soggetto – centrica e acontestuale del cognitivismo.
Nell’avvicinarsi a così diverse aree interpretative la pedagogia non può, infatti, rinunciare alla considerazione del soggetto sia come individuo biologico (membro di una specie), sia come individuo sociale (membro di un gruppo che condivide una cultura), sia come individuo specifico (in considerazione della peculiarità soggettiva), rispettando, in tal modo, la triplice significatività della formazione. Pertanto, all’interno delle scienze bioeducative, sono ravvisabili prospettive di indagine filogenetiche, socioculturali, ontogenetiche ed organismiche.
Due sono i cardini interpretativi peculiari in questa impostazione: per quanto riguarda la relazione innato – acquisito, i termini natura – cultura sono riconsiderati in una sinergia che esce dalla tradizionale considerazione preformista del genotipo (vedi gli studi bioecologici di Ceci, Rosenblum, de Bruyn, Lee), secondo la quale il fenotipo codifica il genotipo, mettendo in evidenza con ogni individuo realizza, del suo patrimonio genetico, solo quella parte a cui specifici fattori ambientali (prossimali e distali) permettono di manifestarsi (h2 actualized). Tuttavia, nella interazione individuale con la cultura, questa non è più considerata fattore generale di modifica, in interazione con processi cognitivi individuali indeterminati: specifici funzionamenti cognitivi interagiscono in specifiche culture organizzando in peculiari strutture di conoscenza determinate classi di fenomeni (si vedano, ad esempio, gli studi sulla modularità e sulla specificità di dominio). Per quanto riguarda, invece, la tematica mente – cervello, la chiave interpretativa che consente un approccio pedagogico senza tema di riduzionismi è la possibilità, prospettata da studi come quelli di Changeux e Sperry, di interpretare la relazione mente – cervello guardando al cervello per scoprirvi la mente e non soltanto in una prospettiva bottom up, come scrive la Churchland, cioè cercando relazioni uno a uno tra la mente e il cervello.
Al di là di queste due prospettive interpretative – rapporto innato-acquisito e mente–cervello – è significativo come, all’interno delle scienze bioeducative, nel nucleo tematico individuo-sviluppo, ritornino aspetti significativi dell’educazione nel progetto della formazione.
Ciò è in particolare modo evidente nelle prospettive ontogenetiche (lifespan theories), dove i processi apprenditivi sono visti nella doppia dimensione pedagogica/andragogica. Il recupero di una dimensione formativa che corra lungo tutto l’arco della vita comporta la considerazione di una tensione metabletica che induce modificazioni regolate da una diversa significatività biologica, non più strutturale, ma funzionale, dove il cambiamento è vissuto come sempre più profonda acquisizione di significati, dimensione autoreferenziale e metacognitiva, non realizzabile se non attraverso una guida, un elemento di mediazione che accompagni un percorso di reinterpretazione e riformulazione delle proprie realtà e dei propri vissuti. E qui ritorna il tema dell’educazione come conduzione, come guida; tema ancor più valido nelle prime fasi della vita, dove la realtà – specie quella odierna – va decodificata e mediata, va spiegata e resa esplicita, perché si realizzi e si compia il processo formativo individuale come “messa in forma” e realizzazione della miglior forma possibile, per un dato soggetto, in uno specifico contesto di formazione.

 

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